JOHANN WOLFGANG VON GOETHE, CENTO E IL GUERCINO!
Era la sera del 17 ottobre 1786 quando Il poeta e scrittore tedesco Johann Wolfgang Von Goethe, durante il suo Grand Tour, si fermò a Cento, patria del Guercino; nel suo diario, dove annota tutte le meraviglie che riesce a vedere ogni giorno, scrive:
Cento, 17 ottobre, sera.
In una migliore disposizione d’animo scrivo oggi dalla città natale del Guercino; ma anche la cornice è ben diversa. Una simpatica cittadina, ben costruita, di circa cinquemila abitanti produttiva linda, vivace, posta in una pianura coltivata a perdita d’occhio. Secondo la mia abitudine salii prima di tutto sul campanile.
Un mare di cime di pioppi; in mezzo ad essi, e a breve distanza, tanti piccoli cascinali ciascuno circondato dal suo podere. Terra eccellente e clima mite. La sera d’autunno era così bella come a noi d’estate raramente è concesso d’averne. Il cielo, rimasto coperto tutto il giorno, andava rasserenandosi, le nuvole si spostavano verso i monti a nord e a sud, e per domani spero in una bella giornata. Qui per la prima volta ho visto gli Appennini, ai quali mi sto avvicinando. Da queste parti l’inverno dura solo i mesi di dicembre e gennaio, l’aprile è piovoso, e quanto al resto il tempo è buono, secondo come va la stagione. La pioggia non dura mai a lungo; questo settembre è stato però migliore e più caldo dell’agosto. Guardando a sud salutai di cuore gli Appennini, perché ormai ne ho abbastanza delle pianure. Quando scriverò domani, sarò ai loro piedi.
Il Guercino amava la sua città, secondo il costume degli italiani, che coltivano in sommo grado questo patriottismo di campanile: bel sentimento, dal quale è nata tutta una serie di preziose istituzioni, in particolare un visibilio di santi locali. Sotto la direzione di quel maestro sorse qui un’accademia di pittura. Egli ha lasciato parecchi quadri che formano ancora, e a buon diritto, la gioia dei suoi concittadini. A Cento il nome del Guercino è sacro, sulla bocca dei piccoli come dei grandi. …
… Mi piacque molto il quadro che rappresenta l’apparizione di Cristo risorto alla Madre. In ginocchio dinanzi a lui, ella lo guarda di sotto in su con indicibile fervore, e con la sinistra tocca il suo corpo, subito sotto la ferita malaugurata che deturpa l’intera immagine. Egli ha cinto con la sinistra il collo di lei, e per meglio vederla piega un po’ il corpo all’indietro, il che conferisce alla figura alcunché non dirò di sforzato, ma d’innaturale, restando tuttavia soavissima. Lo sguardo di silenziosa tristezza ch’egli le rivolge è incomparabile: si direbbe che il suo nobile spirito rievochi i dolori da lui stesso e da lei patiti, che la resurrezione non ha ancora cancellato. Di questo quadro Strònge ha fatto un’incisione, e sarei lieto che i miei amici lo vedessero almeno in questa copia. …
… Un’altra Madonna attrasse poi la mia simpatia. Il bambino cerca il seno, ed ella, vergognosa, esita a scoprirlo. Nobile, gustoso e bel quadro, pieno di spontaneità. …
… Il Guercino è un pittore intimamente probo, virilmente sano, senza rozzezze; le sue opere si distinguono anzi per gentile grazia morale, per tranquilla e libera grandiosità, e per un che di particolare che consente, all’occhio appena esercitato, di riconoscerle al primo sguardo. La levità, la purezza e la perfezione del suo pennello sono stupefacenti. Per i panneggi usa colori particolarmente belli, con mezze tinte bruno-rossicce, assai ben armonizzanti con l’azzurro che pure predilige. Più o meno infelici sono i soggetti degli altri quadri. Per quanto il bravo artista abbia tribolato, invenzione e pennello, spirito e mano sono andati sprecati e perduti. Cara e preziosa m’è stata tuttavia la conoscenza di questo bel gruppo di pitture, anche se nella mia corsa affrettata non ho potuto trarne molto godimento e ammaestramento.
In foto Cristo risorto appare alla Vergine (1628-30) di Giovanni Francesco Barbieri detto il Guercino (Cento 1591-Bologna 1666)
Olio su tela, cm 260 x 179,5 Cento, Pinacoteca Civica.
Grazie ad Andrea Gilli per l’importante contributo storico