LO STREET FOOD HA RADICI ANTICHISSIME
In attesa di vedere Piazza del Guercino allestita per il 5° Street Food Cento Venerdì 7, Sabato 8 e Domenica 9 Giugno, abbiamo ricercato qualche notizie sulla storia di questo modo diverso di cucinare che prevede di “cucinare e degustare direttamente in strada”.
“Le tracce più antiche di cibo preparato e cucinato per strada risalgono agli albori della nostra civiltà, circa diecimila anni fa. I GRECI già descrivevano l’usanza egizia, tradizione del porto di Alessandria poi adottata in tutta la Grecia, di friggere il pesce e di venderlo per strada. Dalla Grecia il costume è passato al mondo romano, arricchendosi e trasformandosi in innumerevoli varianti. Si possono ancora osservare, negli scavi di Ercolano e di Pompei, i resti ben conservati di tipici “thermopolia”, gli antenati del moderno “baracchino”. Erano una sorta di cucinotto che si affacciava direttamente sulla strada, adibito alla vendita di cibi cotti di ogni sorta, principalmente minestre di farro, fave o cicerchie. All’epoca le classi urbane meno abbienti vivevano in abitazioni, condomìni a tutti gli effetti, per la maggior parte sprovviste di cucina. Il popolino si nutriva dunque per strada, rifornendosi dal più vicino thermopolium che proponeva vivande corroboranti alla portata di tutte le tasche.
Il cibo da strada accompagna così l’evoluzione della nostra civiltà nel corso dei secoli, con discrezione, senza lasciare grandi tracce visto il suo stretto rapporto con la plebe. Eppure nel medioevo sono legioni, nelle grandi città, i banchi, banchetti e carretti che vendono a poco prezzo cibo cotto e cucinato per le vie anguste dei bassifondi. Come spesso accade però, è proprio nella povertà che l’ingegno umano da il meglio di sé e produce le immortali basi di una intera cultura gastronomica. A questo modo nascono a Parigi i “pâtés”, o meglio “pâstés”, gli involucri di pasta contenenti varie farciture, in genere carni stufate o verdure, venduti per pochi soldi a garzoni e facchini che possono così nutrirsi mentre lavorano, senza alcun bisogno di posate. Daranno origine alla parola “pasticcere” e diventeranno, nel Rinascimento e nel secolo dei lumi, i trionfi delle tavole regali di tutta Europa sotto forma di timballi, torte salate e sfoglie di ogni genere ripiene di tartufi, piccioni e foie-gras. Lo stesso, umile principio della “pie” della bassa cultura anglo-sassone: quell’ involucro crostoso di farina, strutto e acqua contenente interiora stufate, consumato dai minatori e dagli operai inglesi ai tempi della rivoluzione industriale. La crosta si buttava via, poichè impregnata di carbone o del grasso dei macchinari dopo che la si era tenuta in mano. Sempre britannica una autentica istituzione quale il “Fish and chips”, venduto per strada e avvolto nel giornale, retaggio dei profughi ebrei sefarditi in fuga dalle persecuzioni tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Seicento. Quella loro usanza del pesce fritto “da asporto” è proprio la stessa di quella degli egizi di Alessandria, estesa a tutto il Nord Africa e alla Spagna moresca di El Andalus.