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OGGI, NEL 1851, IL PAPA RICONOSCEVA LO STEMMA DELLA CITTA’

By on Luglio 29, 2024 0 31 Views

Era il 29 luglio del 1851 quando con decreto dello stato pontificio, di cui facevamo parte, ci veniva riconosciuto lo stemma cittadino. A rendercene testimonianza è Andrea Gilli che ha trovato la storia dello stemma citata alle pagine 273-274 del volume di Alberto Paolo Torri “Gli Stemmi e i gonfaloni delle Province e dei Comuni Italiani”(Firenze 1963).

Lo stemma Centese, che consta di un Gambero rosso in campo d’argento, ebbe la sua origine nel 1209 in seguito ad una concessione del Vescovo Gerardo Ariosti di poter pescar gamberi in certe valli.

Precedentemente, è Antonio Orsini nel suo Sunto storico – artistico – statistico della città di Cento a dircelo, i Centesi utilizzavano per insegna la lettera C in campo d’aria.

La giusta blasonatura del nostro stemma oggi è; “Troncato: il PRIMO, di azzurro, alla banda doppiomerlata d’oro, quattro merli per parte, accompagnata da sei stelle di otto raggi, dello stesso, tre e tre, alternanti i merli, (arma gentilizia della famiglia Aldobrandini); il SECONDO, d’argento, al gambero di rosso, posto in palo, al capo d’Angiò. Ornamenti esteriori da Città”. Sempre Antonio Orsini nel suo citato Sunto storico afferma che allo stemma va unito il mot­to : “NON SEMPER IGNOTUM,,.

Per gli Araldisti il Gambero significa l’umiltà esaltata e il cam­po d’argento è simbolo d’allegrezza.

Il Capo d’Angiò, (D’azzurro carico di tre gigli d’oro, ordinati in fascia ed alternati dai quattro denti di un lambello di rosso), introdotto in Italia da Carlo d’Angiò a ricordo della vittoria su Manfredi ottenuta a Benevento nel 1266, ci venne concesso ad evidenziare il legame di Cento con la politica pontificia.

Ben più complessa è la spiegazione per illustrare la presenza dell’arma gentilizia della famiglia Aldobrandini. (Da Piazza Verdi anno XXIX aprile 2017)

Già dall’VIII secolo il Ducatus Ferrarne fa parte dei terri­tori dell’Esarcato di Ravenna col nome di Romània, ap­partenendo di conseguenza ai Domini della Chiesa. Nei secoli successivi i Marchesi d’Este sono feudatari del Papa, mentre sono dell’imperatore i territori di Modena e Reggio.

Borso d’Este nel 1471 ottiene dal Papa il titolo di Duca di Ferrara, e quasi vent’anni prima aveva ricevuto dall’impe­ratore quello di Modena e Reggio. La casa d’Este da mar­chionale diventa dunque casa ducale.

Borso non si sposa e non ha figli, e di conseguenza gli succede il fratellastro Ercole I d’Este, il cui figlio primogenito Alfonso in seconde nozze nel 1502 sposa Lucrezia Borgia, la quale assume il titolo di Duchessa consorte di Ferrara, Modena e Reggio.

Essa è figlia del dissoluto e liberti­no di origine spagnola Rodrigo Borgia, che divenendo Papa assume il nome di Alessandro VI. Questi, come dote alla sposa, le dona le città di Cento e di Pieve, le quali dunque entrano a far parte del ducato estense. La decisione di Papa Alessandro VI di annettere Cento e Pieve al Ducato di Fer­rara ha dei precisi obiettivi politici; intanto col matrimonio della figlia, a cui perviene questa ricca dote, egli aumenta notevolmente il prestigio della sua famiglia, inoltre e cosa più importante, con questa operazione priva il Cardinale Giuliano della Rovere, Vescovo di Bologna, che gli è acerrimo nemico, di due prestigiose località abbassandone l’autorità personale e quella della sua famiglia.

La morte di Alessandro VI avvenuta nel 1503 interruppe la parabola ascensionale dei Borgia. Il nuovo Papa Giulio II, il già menzionato Giuliano della Rovere – acerrimo nemico del precedente Pontefice – avrebbe tutti i motivi per ricom­porre la situazione politica recuperando allo Stato Pontificio Cento e Pieve. Se inizialmente la sua posizione è quella di mantenere l’assetto esistente nonostante le proteste dei bolognesi che inviano al Papa i loro ambasciatori nel tenta­tivo di ritornare alla condizione precedente, questi sembra non aderirvi, anche perché alleato di Alfonso I nella guerra contro Venezia. Poi in breve si assiste ad un’inversione di rotta: le terre del Cento-Pievese vengono a più riprese invase dalle truppe pontificie in una serie di scontri che non vede né vincitori né vinti, arrivando al 1513 con la morte di Giulio II.

Gli succede Adriano VI, quindi Leone X, poi Clemente VII: per decenni non si discute più dell’appartenenza di Cento e Pieve a Bologna o a Ferrara.

Nell’ottobre del 1597 muore Alfonso II d’Este (1533-1597, figlio di Ercole II e Renata di Francia). La dinastia si estingue nel ramo diretto essendo egli privo di eredi. In base alla Bolla Pontificia di Pio V del 1567 in cui si vietano ulteriori infeudazioni a chi morendo non lascia successori in linea diretta, il territorio ferrarese viene avocato alla Santa Sede. Il Duca già da tempo, temendo questa futura situazione, aveva cercato a più riprese di modificare quella disposi­zione, trovando però una forte opposizione da parte dei Cardinali romani decisi a recuperare quei territori.

Alla successione di Alfonso II mira un esponente del ramo collaterale della famiglia, Cesare d’Este, il quale opponen­dosi al Papa forma un esercito per impedire militarmente l’occupazione di Ferrara. Il Papa Clemente VIII (1535-1605, Ippolito Aldobrandini, papa dal 1592), con la partecipazio­ne anche dei bolognesi che sperano di riacquistare Cento e Pieve, mette in campo 30.000 uomini. Vista l’impari si­tuazione, Cesare viene a patti col nipote del Papa, Pietro Aldobrandini, il quale diventerà da lì a poco il Governatore di Ferrara. Cesare si porta a Modena eleggendola nuova capitale del Ducato; la città assieme a Reggio è di inve­stitura imperiale, e Cesare ottiene dall’imperatore Rodolfo Il la re-investitura essendo da lui considerato il legittimo erede degli Estensi. Con tale operazione – indicata come Devoluzione – si conclude nel 1598 la presenza della Casa d’Este in territorio ferrarese e di conseguenza Cento e Pieve tornano sotto il dominio Pontificio.

A dire il vero, da parte dei centesi non si manifesta troppa propensione a ritornare sotto Bologna, in quanto piuttosto che dipendere da un governatore mandato dal vescovo petroniano, è certamente meno pressante la dipendenza dalla Chiesa di Roma. D’altra parte anche il Papa non ha molto interesse a togliere a Ferrara Cento e Pieve in quanto proprio a Ferrara c’è il nipote, il Cardinale Aldobrandini, a cui non vuole togliere quel territorio dalla sua giurisdizione.

Di conseguenza, il 20 giugno 1598 Clemente VIII emette in Ferrara una Bolla che inizia con “De luribus”: in essa si dichiara che è utile alla Chiesa di Bologna rinunziare al possesso di Cento.

A coronamento di questa operazione, con l’intento di nobilitare la città, Papa Clemente VIII nel mede­simo anno concede licen­za di modificare l’arma dello stemma di Cento, arricchendolo con l’arma gentilizia della famiglia Al­dobrandini consistente in sei stelle, igitur arma seu insigna istius Universitatis insignibus gentilituiis domus nostrae Aldobrandinae: questa concessione viene confer­mata anche/dal “Breve” del 20 dicembre 1758 emanato da papa Clemente XIII con cui, fra gli altri privilegi, concede a questo nostro Pubblico di poter inquartare nello Stemma del medesimo l’arma gentilizia di Casa Aldobrandino.

Il 19 dicembre 1754, Papa Benedetto XIV firma una bolla con la quale Cento è eretta ufficialmente al rango di città, pertanto sullo stemma, a partire da tale data, deve figurare la corona turrita.

Bisognerà aspettare il primo decennio degli anni 2000 per vedercelo “ristrutturare” in peggio; dopo una pretestuosa quanto inutile richiesta all’Ufficio Onorificenze e Araldica pubblica istituito presso il Dipartimento del Cerimoniale di Stato (presidenza del Consiglio dei ministri) con il Decreto del Presidente della Repubblica datato 3 novembre 2010 il nostro stemma ha perso le sinuose forme dello scudo per uno scialbo e senza storia scudo sannitico (e qua il caro Gilli mostra tutto il suo amore verso il nuovo simbolo del comune)!

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