POSSO SPERARE DI SENTIRE IL SUONO DELLE CAMPANE?
I SEPOLCRI… LE NOSTRE TRADIZIONI
a raccontarci le emozioni, tutte centesi, che si vivono nelle giornate che anticipano la Pasqua, la “penna” di Chiara Correggiari
Ci prepariamo a festeggiare una Pasqua insolita, costretti tra le mura domestiche e per molti di noi lontani dai propri cari. Se possibile, trovo che ai centesi si presenti un’ulteriore prova di autodisciplina e fermezza perchè, da tradizione, la settimana che precede la Santa Pasqua è scandita da tanti piccoli appuntamenti a cui i concittadini non mancano di prendere parte.
“Dì con la Cristina di annaffiare i ciclamini e accendere tutte le candele, che da giù si vede!” una delle tante premure di mia nonna, ad esempio, è che il nostro balcone appaia ben ordinato al passaggio della Via Crucis sul viale del cimitero.
Personalmente, ciò di cui sentirò più la mancanza è la presenza dei Sacchi durante le Quarantore, e la visita ai Sepolcri il Giovedì Santo.
Sono due momenti distinti, che mi toccano profondamente.
Sin da piccola, mia madre era solita accompagnarmi in San Biagio, dove per tre giorni consecutivi vedevo sfilare questi uomini bianchi, incappucciati e con soli due fori sbilenchi all’altezza degli occhi; ne ero terrorizzata: “Non devi avere paura, sono uomini buoni”, mi ripeteva lei ogni volta. Crescendo, non ho smesso di prendere parte alla cerimonia, finchè la paura ha lasciato posto allo stupore, complici le note dell’organo, i violini e l’incenso che aleggiava sull’altare.
Allora, il giovedì sera gli abitanti si riversavano per le vie della città, ognuno avvolto nel proprio impermeabile -ora il tempo si beffa di noi, ma i giovedi che precedono la Pasqua sono da tradizione pioviginosi- per la visita nottura ai sepolcri, allestiti in ogni chiesetta del centro. Cento prendeva vita, e il chiassosso chiacchericcio delle strade si alternava al silenzio di preghiera vicino agli altari, dove illuminati dalle fiammelle incrociavi sguardi e sorrisi di amici, parenti, anche loro accorsi per l’occasione.
Racconto a don Stefano il mio dispiacere, dettato dalla consapevolezza che quest’anno non sarà possibile prendere parte a nessuno dei consueti appuntamenti.
“Viviamo un momento particolare, di forzato ritiro nel privato che ci impedisce di vivere la Pasqua con quell’intensità spirituale, espressa anche nelle tradizioni centesi, a cui si era abituati. Noto però tanta spiritualità e volontà di stare uniti, per superare questa emergenza con la forza che il solo senso di appartenenza a una comunità può dare”.
Queste le sue parole, che prontamente mi danno conforto.
Eppure, qualcosa manca.
Afferro il telefono:
“Come stai? Posso sperare di sentire il suono delle campane quest’anno?”
Gabriele, caro amico e storico campanaro risponde dopo pochi minuti:
“Sto a casa aspettando che passi. Le campane le sentirai, ma solo verso sera, quando Rigato che abita lì vicino le va a muovere. Ma prima o poi torneremo a suonare a festa”.
Ancora un po’ di amarezza. Sono lontani i tempi delle gran bevute e mangiate sui campanili che Gabriele ricorda spesso. Ciò nonostante, nell’immagine di Rigato che furrtivamente raggiunge il campanile e muove le campane, riconosco la tenacia di una comunità, quella accennata da don Stefano, che non si ferma.
Solo verso sera, qualche rintocco, manovrate da un amico che abita nei cento metri vicini, le campane le sentiremo suonare.
Ascoltiamole bene. Le campane suonano per TUTTI, e il silenzio di questi giorni porterà il loro suono anche nelle vie più lontane.
Ascoltiamole bene perchè, al momento, non suonano una musica gioiosa: riflettono speranza, tenacia, timore, sconforto e quella miriade di emozioni che si susseguono puntualmente e che ci siamo ormai abituati ad accogliere nell’arco di una sola giornata.
Poi, e ne sono certa perchè i campanari mantengono la parola data, torneremo a suona a festa.
Chiara Correggiari